Ciò che leggerete di seguito è il racconto di
Giancarlo Barbadoro
che con lo storico Salomone, venne a contatto con un libro
recuperato dai resti di Rama. Copiato e in seguito tradotto,
verranno estratte informazioni sull'antica civiltà di Rama,
trascritte nei libri "Rama Vive" e "La mitica città
di Rama". "Presso tutti i popoli antichi,
usavano scrivere ordinariamente su corteccia d'albero, su foglie
pressate di papiro oppure su pergamena, ma nel caso si trattasse
di testi di particolare interesse venivano utilizzate le
superfici di lastre di pietra, che potevano consentire di
sfidare il tempo e resistere alla possibilità della loro lettura
attraverso le generazioni. Ma accadeva anche che venissero usati
supporti di metallo per i testi più prolissi, che per il numero
delle loro pagine divenivano come veri e propri libri e che per
la loro importanza se ne voleva assicurare la sopravvivenza nei
secoli. All'epoca erano comuni materiali come il piombo e il
rame, ma quello considerato più idoneo allo scopo era l'oro, del
resto considerato incorruttibile all'azione degli agenti
atmosferici e facile da incidere.
Non mancano esempi di lamine dorate
incise in greco arcaico che ci pervengono dalla cultura
ellenica. Abbiamo un esempio ben documentato di testi
scritti su lamine d'oro rappresentato dalle tre lamine d'oro di
Pyrgi. Tre lamine rinvenute negli anni '60 nel sito archeologico
etrusco di uno dei porti dell'antica Cerveteri, in Italia. Le
lamine, ciascuna alta circa 20 cm e risalenti al VI secolo a.C.,
contengono in lingua fenicia e in lingua etrusca la
testimonianza della consacrazione di un tempio dedicato alla dea
fenicia Astarte. |
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Il più antico che si possa ricordare è
quello del cosiddetto "Libro di Thoth" che, secondo il mito,
venne inciso dall'omonimo dio egizio per trasmettere la sua
conoscenza celeste agli umani su ventidue lamine d'oro.
Inevitabilmente, questa divinità del mondo dell'Antico Egitto
riecheggia nel mito di Fetonte. Entrambi considerati detentori
di una grande conoscenza cosmica e figure civilizzatrici del
pianeta. Entrambi identificabili nel mito del Graal, quella
conoscenza arcaica che sarebbe giunta dal cielo all'alba della
storia umana.
Un altro libro d'oro, che ha raccolto molte
posizioni controverse da parte di esperti storici e di
archeologi è quello che oggi si trova alla base della fede
mormone. Le sue origini sono particolari e ricordano per certi
versi la mitologia legata al mito di Fetonte e a quello del dio
egizio Thoth, venuti dal cielo per elargire la loro conoscenza.
In questo caso il libro sarebbe stato donato da
una creatura discesa dal cielo, identificata poi come un angelo,
a Joseph Smith, il futuro fondatore del movimento mormone. La
creatura celeste, che si dichiarò con il nome di Moroni, gli
consegnò un libro costituito interamente da lamine d'oro incise
in un antico idioma pre-egizio che potè essere tradotto grazie
all'aiuto di esperti del tempo. Il testo narrava di una antica
civiltà esistente sulla Terra oggi scomparsa, di cui non si
hanno più tracce storiche, dando un resoconto di varie peripezie
storiche e individuali. Come già è accaduto per il caso della
"Pietra Nera", caduta anch'essa dal cielo con il suo bagaglio di
conoscenza, e custodita nel santuario arabo della Mecca, il
libro d'oro di Moroni divenne il centro focale della particolare
filosofia e del culto della comunità mormone. |
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Nel lavoro di ricerca sul mito di Fetonte e sulla città megalitica di
Rama si affaccia un altro di questi particolari libri di metallo
destinati a sfidare il tempo per attraversare
migliaia di generazioni.
Innanzitutto occorre premettere che la città di Rama non appartiene più
al mito, allorché nel 2007 venne reperita in Val di Susa una parte delle
sue possenti mura ancora oggi intatte a fronte dell'incuria del tempo e
delle catastrofi ambientali che hanno portato al declino di quella
città.
E non sembra essere un mito neppure quello riguardante Fetonte, ma
piuttosto un racconto allegorico che cela un preciso evento storico.
Secondo la storia narrata dalle "Comunità celtiche" e dai Druidi del
Nord del Piemonte, il dio disceso dal cielo, prima di congedarsi dagli
uomini del tempo, avrebbe donato una grande ruota d'oro forata, del
diametro di circa due metri e dallo spessore di circa dodici centimetri,
che conteneva tutta la sua conoscenza. Un inusitato libro d'oro che
sembra sia stato venerato su tutto il pianeta, considerando come la
ruota forata sia presente, oltre che in quantità notevoli in Val di Susa,
anche sui vari continenti, dall'Asia all'Africa e dall'Australia alle
Americhe. |
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Dopo l'era mitica legata alla presenza di Fetonte sulla Terra, la città
di Rama, ormai caduta in rovina a seguito di disastrosi eventi naturali,
venne raggiunta intorno al 4000 a.C. dai Pelasgi che la ricostruirono
parzialmente nello stesso stile architettonico di cui hanno lasciato
traccia nelle grandi fortificazioni del Circeo nel Lazio. Un evento
ricordato anche dalle leggende popolari del Piemonte dell'Ottocento che
riportano come dall'Asia giunse una popolazione di uomini dalla pelle
scura che si impossessò delle vestigia della città di Rama per carpire
antichi segreti.
In realtà i Pelasgi stavano cercando una terra in cui poter trovare una
nuova patria dopo la catastrofe ricordata come il "diluvio di Decaulione",
che aveva allagato con la tracimazione del Mar Mediterraneo l'intero
bacino della terra nera fertile dell'attuale Mar Nero.
Nel loro intento
di ricostruire le antiche vestigia avevano raccolto dai druidi
valligiani, custodi delle tradizioni di Rama, tutta la loro memoria
storica e pensarono di custodirla in un libro costituito da lamine di
metallo dorato.
Da questo libro redatto dagli antichi Pelasgi rinvenuto casualmente in
tempi recenti escono tutti i miti che sono serviti per strutturare la
ricerca poi esposta nel libro "La mitica città di Rama", scritto
dall'autore e da Rosalba Nattero. Leggende poetiche e significative come
ad esempio la "Leggenda del cerchio" e la "Leggenda del Drago", quest'ultima
alla base della mistica e della pratica della Kemò-vad. |
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Il modo in cui si è giunti al Libro d'oro di Rama è singolare e
puramente occasionale, sebbene significativo nei particolari della
vicenda. La Valle di Susa è stata da sempre oggetto di attento studio da
parte di ricercatori e di scopritori di tesori dell'antichità.
Purtroppo, molte volte gli organi ufficiali hanno compiuto azioni che
hanno portato alla distruzione di elementi archeologici preziosissimi,
come è accaduto con la scomparsa nel 2013 di un antico insediamento a
Chiomonte a seguito del pretesto di installare strutture ferroviarie
della TAV. E
senza contare lo smantellamento sistematico di monumenti megalitici
avvenuto ad opera di "ignoti".
Assieme al compianto archeologo Mario Salomone, negli anni '70 attuammo
moltissime esplorazioni in tutta la Valle di Susa, giungendo alla
scoperta di "ripari sotto roccia" e alla serie dei famosi "mascheroni"
definiti di "fattura tolteca" rinvenuti nei pressi della cittadina
valligiana di Villarfocchiardo.
I contadini della Valle, anch'essi curiosi sulla storia della loro terra
e raccoglitori dei reperti antichi rinvenuti occasionalmente nei loro
campi durante le arature, sono sempre stati gelosi custodi delle loro
conoscenze e diffidando degli enti ufficiali e dei "ricercatori della
domenica" sono sempre stati riservati sui loro segreti, rilasciando
tutt’al più all'occorrenza indicazioni sempre fuorvianti.
Tuttavia i contadini della Valle, divenuti fiduciosi della nostra
integrità di ricercatori, non lesinarono mai nel mostrarci le loro
scoperte che non erano assolutamente attribuibili ai Celti pre-romani né
tantomeno all'Impero romano. Oggetti che gli enti ufficiali dell'epoca
non presero mai in vera considerazione.
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Fu così che un giorno dei primi di ottobre del '74 due contadini della
Valle di Susa portarono a vedere a Salomone un cofanetto di pietra. Gli
dissero di averlo trovato casualmente in una delle stanze sotterranee
del complesso megalitico della città di Rama che di tanto in tanto
esploravano alla ricerca di possibili tesori. Approfondendo in seguito
la conoscenza di queste due persone compresi che era stato un aiuto
giunto da parte delle Famiglie Celtiche della zona valligiana per darci
un supporto concreto su cui lavorare nella nostra ricerca sulla città di
Rama e sul mito di Fetonte.
In quell'occasione, Salomone mi convocò immediatamente nel suo studio
per esaminare i reperti. Il cofanetto era in pietra grigia scura a forma
di parallelepipedo con un coperchio che si apriva su uno dei lati più
lunghi lasciando intravedere una serie di lamine di metallo rettangolari
che i contadini definirono come un libro dalle pagine d’oro.
Le lamine sembravano essere effettivamente d’oro, però inscurito e dai
riflessi vagamente verdastri. Erano tutte incise su ambo i lati con
caratteri delicatamente impressi. Le lamine, che al conteggio
risultavano essere sessantasei, erano impilate dentro al cofanetto in
pietra e recavano quattro fori sul lato più lungo dentro ai quali
passavano dei cordoni di tessuto arrotolato beige unito a sottili fili
di metallo dorato. Le lamine, di circa 18 per 24 centimetri, risultavano
lisce al tatto con fini arrotondamenti sui loro bordi e il loro
spessore, misurato con un righello, risultava di circa quattro-cinque
millimetri.
Salomone propose ai due contadini di trattenere il tutto per qualche
giorno ma questi rifiutarono con fermezza. Ci permisero tuttavia di
ricavare dei calchi usando il metodo del ricalco, o "frottage", ottenuto
ponendo della carta leggera su ciascuna delle lamine e strofinando sui
caratteri incuneati la punta morbida di una matita. Il delicato lavoro
di “copiatura” ci prese tutto un giorno e una notte, ma alla fine
avevamo la copia fedele e numerata di tutte le pagine del misterioso
libro d'oro di Rama. |
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Esaminando più tardi le iscrizioni rilevate, non avendo idea di che
lingua si trattasse, pensammo di trovarci di fronte alla scrittura di
qualche antica civiltà perduta che aveva edificato la città di Rama.
Ma Salomone riconobbe che i caratteri sembravano essere in greco antico.
Nella settimana successiva, portò una copia fotografica dei fogli ad un
esperto di linguistica di Torino per fargli tradurre qualcosa che ci
illuminasse sul contenuto delle lamine. Ma questi si dichiarò incapace
di fare una vera traduzione essendo il testo scritto in un greco
piuttosto arcaico e indicando un suo conoscente, che abitava a
Saint-André-de-la-Roche in Francia, anche lui esperto linguista che
avrebbe potuto tradurre
compiutamente il contenuto delle lamine.
La traduzione richiese parecchi mesi, ma alla fine, uno dopo l'altro,
uscirono tesori inattesi costituiti da leggende, conoscenze storiche,
trattati sciamanici dell'antico druidismo, e molto altro. Il libro d'oro
era una sorta di enciclopedia, una raccolta sistematica di varie
leggende e di cronache di eventi storici riguardanti la città di Rama e
il mito di Fetonte. Documentazione che nel suo insieme narrativo risultava di poco dissimile
da quella conservata ancora nel nostro tempo dalle Famiglie Celtiche e
dalle comunità druidiche del Piemonte. Materiale che più tardi, insieme
a Rosalba Nattero, utilizzammo per scrivere il libro "Rama Vive" e il
successivo "La mitica città di Rama", con l'intenzione di riportare alla
luce l'antica cultura dei Nativi europei dimenticata, forse volutamente,
dalla storia ufficiale. |
Ma la traduzione dell' "enciclopedia" di conoscenze e di miti che è
custodita nel Libro d'oro della città di Rama non è ancora terminata.
Poco tempo fa, dopo aver recuperato il contatto con il traduttore
francese trovato da Salomone, che oggi risiede a Mentone in Francia,
ormai anziano e senza aver più la voglia di impegnarsi nelle
difficoltose traduzioni dal greco arcaico, ci ha consegnato le pagine
che aveva in custodia e ci ha indicato un suo allievo in grado di
tradurre il testo, che oggi dimora a Ginevra in Svizzera.
Concordemente con Rosalba abbiamo depositato i disegni originali in una
cassetta di sicurezza di una banca di Mentone portando con noi le
relative fotocopie in Svizzera. Abbiamo preferito fare in questo modo
poiché più volte siamo stati soggetti a furti di documenti e non
potevamo permetterci di perdere una così preziosa documentazione. Qui,
le abbiamo consegnate al traduttore che a sua volta, sull'onda delle
nostre preoccupazioni, le ha depositate in una cassetta di sicurezza di
una banca di Ginevra.
Sembrerebbe tutto quasi preordinato dal fato. Ora questo libro, nella
sua veste originale, giace custodito dai cuori puri dei contadini-druidi
della Valle che sicuramente lo serberanno gelosamente assieme agli altri
loro millenari segreti. D’altro canto una parte di sé ora giace nella
libera terra di Francia, dove i valori del celtismo non sono esecrati
come paganesimo da distruggere in nome della fede e dell'accademismo
universitario legato alla romanità italica.
Un'altra parte di sé si trova ad essere custodita nell'altrettanto
libera terra elvetica di Ginevra, città di origine celtica e depositaria
di antichi segreti, rifugio dei perseguitati delle libertà di ogni
nazione e custode di numerosi reperti storici dei Nativi europei. Non
dimenticherò mai l'emozione della prima volta che lessi sul monumento
ginevrino dedicato alla "Riforma" il motto druidico ripreso da Calvino:
"POST TENEBRA LUX", ovvero "Dopo le Tenebre La Luce".
Motto e simbolo ripreso dalla Scuola di Kemò-vad Sole Nero. Il Sole
Nero, per l'appunto. Quello che si mostra durante un’eclisse e che per
quanto spaventosa questa possa apparire, non potrà mai cancellare per
sempre l'inevitabile riapparire della luce del Sole.
E questa Scuola rappresenta oggi il mezzo culturale con cui si divulgano
le antiche conoscenze relative al mito di Fetonte e di Thoth. Nella
speranza che, presto, avremo altre cose da far conoscere a quanti sono
interessati ad apprendere circa le vere radici storiche del controverso
mondo attuale."
Giancarlo Barbadoro. |
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